Lo spreco alimentare: avanza il rispetto per gli avanzi?

Anche i numeri, a volte, possono provocare emozioni. Lo fanno sicuramente quelli citati nel rapporto FAO sullo spreco di cibo di pochi anni fa:

Ogni anno, il cibo che viene prodotto, ma non consumato, sperpera un volume di acqua pari al flusso annuo di un fiume come il Volga; utilizza 1,4 miliardi di ettari di terreno – quasi il 30 per cento della superficie agricola mondiale – ed è responsabile della produzione di 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra.”

“… le conseguenze economiche dirette di questi sprechi (…) si aggirano (…) intorno ai 750 miliardi di dollari l’anno.”

“…un terzo di tutto il cibo che viene prodotto nel mondo va perduto.”

L’Italia si è appena dotata di una legge che, attraverso semplificazioni burocratiche e nuove regole, intende facilitare la donazione delle eccedenze alimentari da parte di diversi operatori del settore (mense, supermercati, negozi, imprese agricole…) e promuovere comportamenti volti alla riduzione dello spreco alimentare tra i consumatori.

Le perdite a monte della filiera agroalimentare riguardano soprattutto i paesi in via di sviluppo, mentre il vero e proprio spreco di cibo alla fine del percorso – a casa, nei ristoranti, nelle mense – arriva a rappresentare il 40% del totale nelle regioni a più altro reddito: uno spreco ancora più odioso perché più pesante nella sua impronta ecologica, visto che include i costi ambientali della lavorazione, del trasporto, dello stoccaggio ecc.

 

La nostra ricerca: quanto sprecano gli italiani

Le abitudini di spesa e consumo alimentare di chi vive nei paesi sviluppati hanno dunque un grande peso, e da una recente ricerca del nostro istituto sembrerebbe emergere un quadro di moderata speranza: continua il trend di riduzione degli sprechi e quest’anno il 64% degli italiani intervistati, ha dichiarato di aver diminuito o addirittura annullato lo spreco di cibo a casa propria.

 

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Le donne sono più ‘brave’: il 39% ha raggiunto l’obiettivo degli ‘zero avanzi’, contro il 26% degli uomini.

I giovani e i giovani adulti sembrano invece non riuscire a ridurre gli sprechi, a differenza delle fasce d’età più alte: c’è forse una differenza negli stili e nei tempi di vita tra le generazioni che incide sulla possibilità pratica di avere comportamenti virtuosi, ma è probabile che ci sia anche una differenza più propriamente culturale, legata alle abitudini alimentari e al rapporto con il cibo.

Questione di mentalità, dunque, ma anche questione prettamente economica, come dimostrano il 45% delle famiglie con reddito basso e il 41% di quelle con reddito medio-basso che dichiarano di non sprecare nulla.

In questa doppia chiave di lettura, in questo intreccio tra culturale e materiale, tra libertà (di scegliere come e cosa mangiare, cucinare, riutilizzare gli ingredienti…) e necessità (riduzione dello spreco dovuta alla riduzione dei consumi stessi) si possono leggere anche i dati delle altre fasce che risultano più virtuose in fatto di non sprecare cibo: le casalinghe, i pensionati, coloro che vivono da soli e le famiglie composte da un solo genitore con figli; queste ultime sono molto più attente a non sprecare di quanto non lo siano le famiglie formate da coppie senza figli.

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Come evitare di sprecare cibo?

Fare la spesa in modo più attento, cercando di acquistare solo quello che ‘serve davvero’, e riutilizzare gli avanzi per un pasto successivo, magari inventando nuove ricette, sono le soluzioni più adottate per evitare di buttare gli alimenti, seguite poi da una maggiore attenzione alla data di scadenza e da una, semplice ma efficace, riduzione delle quantità acquistate: quest’ultima soluzione è scelta dalle fasce più giovani e vede un picco tra i 45-54enni e dalle casalinghe.

Un significativo, ma sempre idealmente troppo basso, 15% delle risposte riguarda la beneficenza e il donare il cibo avanzato: chissà se le agevolazioni burocratiche previste dalla legge appena approvata riusciranno a incrementare questo dato -che forse appare nella dichiarazione un po’ sovrastimato- e a dare sponda a un’inclinazione all’apparenza attrattiva per gli italiani. C’è da dire che, però, operativamente non è ancora stato reso agevole fare donazioni di cibo ed anche per i privati non è semplice individuare soluzioni praticabili.

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Scadenze: tra norme e buon senso

Fare attenzione alla scadenza dei cibi, però, può voler dire anche qualcos’altro. Se è vero che il 55% degli intervistati ha dichiarato di non mangiare mai cibi scaduti, è interessante che il 32% invece dichiari di averlo fatto (per alimenti scaduti da non più di una settimana), e tra questi ci sono in particolare le donne e i giovani tra i 18 e i 34 anni.

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Un dato che racchiude forse coloro che, nonostante la poca chiarezza finora presente sulle etichette, hanno capito che la dicitura ‘Da consumarsi preferibilmente il…’ – a differenza della data di scadenza – indica che il prodotto potrebbe aver perso alcune qualità organolettiche ma può essere ancora consumato (affidandosi magari al giudizio dei propri sensi, vista e olfatto), o donato e, insomma, ‘salvato’ dal bidone della spazzatura.